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domenica 26 giugno 2011

Mario Tozzi (geologo Cnr): Un ipotesi da valutare

Mario Tozzi (geologo Cnr): «Tutti coloro che sono qui, sono testimoni di una rivoluzione - quanto piccola o quanto grande, poi lo vedremo - che porterà, poi, alla fine, a dover necessariamente riscrivere i libri di scuola. I testi che abbiamo usato sulla storia e la geografia di un tempo, sono frutto di una nostra interpretazione delle cose che vedevamo in giro per il Mediterraneo.
Voglio dire di noi uomini. E questa interpretazione era tutta, sempre, focalizzata sul mondo greco come è anche giusto che sia: perché è depositario del nostro mitico passato collettivo. Noi abbiamo imparato la storia così: c’erano gli Uomini Primitivi (qualcuno può azzardare un Neolitico e un Paleolitico...); poi ci sono state le Civiltà Orientali (di cui ricordiamo a stento gli Assiri e i Babilonesi); e poi ci sono stati gli Egiziani, e siamo passati ai Greci. 

Sì, certo, c’è stata qualche altra cosa in mezzo... i Fenici, e poi ci sono stati i Romani... Così l’abbiamo imparata... Ho proprio l’impressione che dobbiamo riscriverla daccapo, almeno una certa parte, per restituire importanza a un buco, a un posto che avevamo lasciato vuoto e che avevamo pensato di riempire con quanto usciva fuori dalle altre parti. Questa lacuna, questa mancanza di informazione, questa ricostruzione storica lacunosa era in realtà occupata da un paese, da un posto, da un popolo. E questo era il Popolo dei Sardi: era la Sardegna, che non è stata mai illuminata dalla storia se non per quello che riguarda i nuraghi - come mi dicono di chiamarli anche se a me piacerebbe di più “nuraghes” - e basta... Invece quello spazio che le è stato sottratto, quell’importanza che è stata data ai Greci, quello che è stato costruito attorno non era corretto in realtà. Se l’ipotesi di Sergio - e anzi, ormai, la sua teoria, che trova sempre maggiori conferme nel mondo archeologico come in quello geologico o in altri campi - si affermerà definitivamente, bisogna proprio riscriverli quei libri. E quando li riscriveremo, dovremo vedere che, tra gli Egiziani e i Greci, c’erano i Sardi. E che, forse, pure gli Etruschi erano Sardi. E che, dunque, da questo punto di vista voi siete coloro che discendono da avi che avevano cambiato la storia, e che poi, invece, ne sono stati dimenticati. Dimenticati per una causa geologica. Lì è intervenuto il mio piccolo lavoro sul campo di verifica delle ipotesi di Sergio: e cioè per questa (forse contemporanea) azione di una grande ondata di marea, di un maremoto molto potente, molto forte, e magari di crisi sismiche (le chiamano “tempeste sismiche”), reiterate, che attorno al 1200 a.C. hanno cambiato il volto di questa terra. 

Per cui, poi, i Sardi sono diventati coloro che si arroccavano, coloro che avevano paura del mare, che non lo amavano affatto... (Immaginatevi un po’ se in un’isola ci può essere gente che non è avvezza all’uso del mare...). Dimenticati poi per una causa geologica. E riscoperti solo per i nuraghi... Quando ho letto il libro di Sergio il primo dubbio che mi veniva è che non si conoscevano al mondo maremoti con onde tanto alte. Insomma per darvi un’idea: i maremoti più potenti conosciuti arrivavano al massimo a 20/25 m di onda. Oddio, è sempre un’onda possente dell’altezza di un palazzo che ti arriva con forza su una costa... Il termine tsunami con il quale si descrivono questi maremoti rende bene l’idea di quello che fa: significa “onda nel porto” perché faceva i danni maggiori nel porto; per esempio il terremoto di Messina nel 1908 ha sviluppato un maremoto di una dozzina di metri e ha fatto danni molto consistenti. Però, perché un maremoto arrivi in Sardegna - una terra ritenuta sempre tranquilla dal punto di vista sismico e anche vulcanico attualmente, e da giù, da qui o da qualche altra parte delle sue coste arrivi ad abbattere una reggia nuragica come quella di Barumini - ebbene 20/25 metri d’onda, non bastano. Proprio in questi ultimi anni, però, sono venute fuori testimonianze da tante parti del mondo in cui si sono conosciuti maremoti alti - e io stesso sono rimasto strabiliato a vederlo documentato - anche 500 metri. Se arriva una montagna d’acqua come quella - e i casi sono ormai testimoniati in Alaska, in Canada, e alle isole Canarie - significa che per esempio un maremoto del genere ricostruito alle isole Canarie arriva in Florida (quindi dall’altra parte dell’Atlantico) ancora con 50 metri d’onda. 

Sono mostri. Sono mostri che generano incubi. Perché per prima cosa ti abbattono: hanno cioè la forza di arrivare da qui, da Cagliari, fino a Barumini. Un megatsunami così ha la forza di abbattere tutto quello che trova per strada e ha la forza di lasciare, una volta che si ritira, la palude, il disastro, il fango... Lascia fango a terra, lascia fango nei porti, li rende inutilizzabili, sconcerta le persone, gli fa insorgere una paura indelebile del mare, perché in quel caso è il mare quello che porta il disastro. Si è spesso discusso della presenza dei porti nuragici. Addirittura a un certo punto venivano negati: i Sardi abitavano tutti dentro la Sardegna, nessuno si muoveva per mare, quindi non facevano nemmeno i porti... Forse, in realtà, invece erano stati davvero seppelliti dal fango, da quel fango che poi si vede bene in mostra nelle straordinarie immagini di Barumini nel 1938, prima di essere riesumato... Ed è quello un fango che da qualche parte deve pur venire. Questa è stata la prima idea-forza geologica che mi ha interessato... È, dunque, possibile che avvengano disastri di questo tipo... Chiamarli disastri in realtà... Quella è l’evoluzione naturale della terra: la terra è fatta così, di terremoti, di vulcani, di eruzioni ... Non è che sono disastrosi in sé: siamo noi a metterci in posti dove è pericoloso stare. Il secondo contributo nostro - come geologi - è nel vedere (nella descrizione di Platone che Sergio riporta nel libro) che si parlava di questa isola ricca di metalli: si narrava del fatto che ci fosse argento, al tempo ritenuto più prezioso dell’oro. 

Effettivamente la Sardegna è stata il distretto minerario più importante d’Europa anche in tempi moderni, più importante del bacino della Ruhr che è pure quello che noi ricordiamo in Europa per il carbone. E tutti la conoscevano, la presenza di questi minerali in Sardegna: fin dalla notte dei tempi già si scavavano miniere che erano dei semplici buchi in pratica, che si vedono ancora oggi, basta andarsi a fare un giro nel parco geominerario di Montevecchio per scoprirli: sono dei forni, delle spaccature da cui già si cavava un minerale di piombo che era ricchissimo d’argento. Ancora oggi se prendete qualcuna di quelle galene si vede bene come abbia una lucentezza diversa dall’opacità del piombo. Dunque era davvero l’Isola dell’Argento. La geologia ci conferma che la Sardegna da questo punto di vista era straordinariamente ricca e ci offre un panorama molto prossimo alle idee di Frau. E in più anzi spero che ci renderemo presto protagonisti di una campagna geologica nuova in Sardegna, nel Campidano, che permetta di verificare ancora meglio l’ipotesi di Sergio scavando, facendo dei sondaggi, dei pozzi che ci facciano vedere se in profondità si ritrova la traccia di questa grande marea di fango che a un certo punto ha investito l’isola. Io, proprio come geologo, ho trovato molto suggestiva l’ipotesi e vi ho trovato dei punti fermi. Ho sempre bisogno di rocce, di pietre, se no non è che mi convinco facilmente: lo devo vedere il fango, analizzarlo. 

meteoriteDevo vedere queste cose e devo vedere se sono possibili. E queste cose, qui, le abbiamo viste, sul terreno, insieme. Del resto è una ricerca che potrà ancora andare avanti ed essere ancora fruttuosa. Ma la cosa, però, più bella è pensare che mettendo insieme cose molto diverse, l’archeologia soprattutto naturalmente, ma anche l’indagine linguistica, l’indagine del paesaggio, la geologia, le fonti storiche ovviamente, la rilettura dei testi platonici, la filosofia... mettendo insieme tutte queste cose un signore - che non c’entra niente in particolare con nessuna di queste perché, poi, lui fa il giornalista - che non proviene dal mondo accademico del quale invece facciamo parte noi, abbia rivalutato quello che è il ruolo dell’outsider, cioè di colui che da fuori dà un punto di vista diverso a una cosa che tu avevi sotto gli occhi da sempre: l’Isola di Atlante non era sparita sott’acqua, era stata schiaffeggiata dall’acqua, ma stava ancora lì. Questo ruolo dall’esterno - dell’outsider, appunto - nei processi di conoscenza scientifica è molto importante. Noi potremmo immaginare che la conoscenza funzioni così: uno prende una notizia un’informazione, poi ce n’è un altro, un dato su un dato, un dato su un dato e - piano piano - costruiamo una montagna di dati. E, quindi, abbiamo accumulato conoscenza. 

Questo è vero, ma non è il progresso della scienza questo: il progresso della scienza procede per rivoluzioni, per cambiamenti immediati di paradigma, come si dice. Faccio un esempio: per la terra si è pensato per tanto tempo che fosse un pianeta fermo, statico, tutti i continenti fissi lì dove stanno... Raccoglievamo dati in tutto il mondo ma nessuno riusciva a cambiare idea fino a che qualcuno, che non era un geologo, ha pensato e ha mostrato che i continenti si muovevano, c’era una deriva. Di nuovo un outsider che cambia le idee. E così, pure, in questo senso non basta raccogliere dati dappertutto bisogna tenerli insieme e rivoluzionare le conoscenze: solo così progredisce il nostro sapere. Per quel piccolissimo tratto di strada che abbiamo fatto insieme, io gliene sarò sempre grato: perché è stata - ed è - un’avventura della conoscenza molto stimolante e lo ripeto quando i nostri nipoti studieranno sui libri di scuola molto probabilmente quella storia sarà riscritta».

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